Con l’autodenuncia, gli ebrei italiani e savonesi avevano compiuto il primo passo verso l’emarginazione sociale e civile: come dimostra il doc. 1 (e come prescriveva l’art. 9 del R. D.L.) l’appartenenza alla “razza ebraica” doveva infatti essere annotata nei registri dello stato civile e comparire - vero e proprio “marchio a stella” burocratico- in tutti gli estratti e i certificati anagrafici. Nei mesi successivi, a tutti i cittadini registrati come “appartenenti alla razza ebraica” sarebbe stato negato l’accesso ai più elementari diritti di cittadinanza, come l’iscrizione alla scuola pubblica - doc. 2- e la possibilità di contrarre matrimonio - doc.3- (per valutare la posizione dei discendenti da un solo genitore ebreo, la legge richiedeva, in questo ultimo caso, l’esibizione del certificato di battesimo: doc.4. E’ comunque significativo - doc. 5- che il Ministero dell’Interno, forse temendo atteggiamenti troppo indulgenti da parte delle autorità locali, rivendichi per sé la facoltà di decidere, in ultima istanza, sull’ appartenenza razziale dei “misti”- la sbrigativa definizione è del Ministero stesso).
Per disposizione del Ministero dell’Interno e della Guerra, inoltre- (docc.6 e 7)-, tutti i cittadini segnalati all’anagrafe come ebrei furono esclusi dal servizio militare (il riferimento agli “ebrei discriminati” contenuto in doc.6 si spiega con la decisione del regime di escludere dalle restrizioni – cioè “discriminare”- gli appartenenti alla razza ebraica che possedessero particolari benemerenze nazionali, militari, fasciste: cfr. Sez. 1. Un’altra evidente incongruenza rispetto all’impianto biologico della legislazione, e come tale destinata ben presto a risolversi: a partire dal 1940, le disposizioni restrittive avrebbero investito tutti gli ebrei, compresi i cosiddetti “discriminati”).
Agli inizi del febbraio 1939, infine, con il R.D.L. 9 febbraio 1939, n.126 ( che stabiliva l’obbligo per“i cittadini italiani di razza ebraica” di denunziare le aziende industriali e commerciali delle quali fossero “proprietari, gestori a qualunque titolo o soci” - doc.8- ) ha inizio la limitazione per legge delle attività economiche svolte dagli ebrei.
Negli anni seguenti, un susseguirsi di ordinanze, circolari, misure amministrative, completa la progressiva emarginazione degli ebrei dalla vita politica, sociale, economica. Fra le altre restrizioni, agli ebrei viene proibito di tenere alle proprie dipendenze domestici “ariani”(doc.9), di lavorare come dipendenti degli uffici di propaganda alberghiera (doc. 10), di commerciare in preziosi e oggetti d’arte (doc. 11), di svolgere l’attività di amministratori di case e condomini (doc. 12), di detenere armi ( doc. 13), di gestire uffici pubblici di copisteria (doc. 14), di recarsi in località di villeggiatura (docc. 15, 16 e 17. Colpisce – doc. 16- che le eccezioni ammesse a questo ultimo divieto vengano applicate a “spiagge e località che non siano di lusso” ).
In tale quadro persecutorio, lo stesso decreto di espulsione per tutti gli ebrei stranieri residenti in Italia posteriormente al 1 gennaio 1919 (R.D.L., 7 settembre 1938, n.1381) costituì un provvedimento di inedita durezza contro gli esuli e i rifugiati, specie in un periodo caratterizzato dal rapido estendersi delle legislazioni antiebraiche in molti Paesi europei (doc. 18). La raccomandazione contenuta nel documento – “è superfluo avvertire che tali accertamenti dovranno essere eseguiti con tatto e riservatezza al fine di non arrecare pregiudizi al movimento turistico”- costituisce una autentica perla di cinismo).
Per tutte queste ragioni, le leggi razziali finirono più o meno esplicitamente per rivelare il proprio obiettivo: separare radicalmente gli ebrei dal resto della società italiana e spingerli all’emigrazione (doc. 19).