Primo Maggio: Festa dei Lavoratori. Intervista a Irene GUERRINI e Marco PLUVIANO con nuovi dati sul reclutamento di manodopera in Liguria e a Savona per l’economia di guerra del Reich (1943-’45).

Tante braccia per il Reich!
Deportazione dei lavoratori liguri ad opera dei tedeschi (1943-’45)

INTERVISTA
di Giosiana Carrara

a Irene GUERRINI e Marco PLUVIANO
(Università di Genova)

Irene Guerrini e Marco Pluviano hanno collaborato per la parte relativa alla deportazione dei lavoratori liguri ad opera dei tedeschi (1943-’45) alla ricerca storica Tante braccia per il Reich! curata da Brunello Mantelli (Mursia, Milano 2019, Voll. I e II).

Si tratta del primo studio organico sulle dinamiche del prelievo coatto di lavoratori dall’Italia e del loro utilizzo oltre il Brennero durante Repubblica Sociale Italiana, fortemente sostenuto dal fascismo di Salò. La ricerca, articolata su due volumi, ricostruisce il modus operandi degli occupanti tedeschi e dei loro collaboratori fascisti repubblicani nel mettere le mani con la forza su lavoratori dell’industria, dell’agricoltura e di ogni altro settore purché utili allo sforzo bellico del Terzo Reich.

La ricerca di Guerrini e Pluviano, presente nel primo volume del testo, si focalizza su aspetti del reclutamento per il lavoro coatto nel Reich a partire da Genova e dalla sua provincia. I ricercatori in seguito hanno ampliato il campo delle loro indagini estendendolo all’area imperiese e spezzina. Attualmente stanno ultimando la ricostruzione su fonti d’archivio della realtà del lavoro coatto nella provincia di Savona durante la Seconda guerra mondiale.

Nell’intervista che segue, rilasciata nell’aprile 2020, illustrano in anteprima importanti dati sull’economia di guerra nel savonese dal settembre 1943 all’aprile 1945.

Qual è l’arco temporale compreso dalla vostra ricerca?

Il periodo di riferimento è quello che va dal settembre 1943 all’aprile 1945, cioè quello della RSI, anche se le partenze per il Reich terminarono a inizio marzo ’45. Bisogna però dire che lo studio del lavoro coatto non può prescindere dall’esperienza del lavoro “volontario” che tra il 1938 ed il 1943 condusse nel Reich oltre mezzo milione di italiani.

Si hanno stime attendibili del numero complessivo dei lavoratori italiani inviati in Germania per diventare “braccia per il Reich”?

La ricerca condotta a livello nazionale, finanziata dalla Fondazione Memoria della Deportazione dell’ANED e dall’Associazione Nazionale Reduci dalla Prigionia (ANRP), ha quantificato in circa 100.000 i lavoratori trasferiti nel Reich. I risultati della ricerca, che comprendono l’esame approfondito delle pratiche di reclutamento in alcuni territori, tra cui Genova e la sua provincia, sono stati pubblicati nel 2019 nell’opera in due volumi Tante braccia per il Reich curato da Brunello Mantelli per l’editore Mursia.

Resta da approfondire quanti furono gli italiani emigrati in Francia, Belgio, Olanda e Lussemburgo che raggiunsero il Reich da quei Paesi dopo l’occupazione nazista, sia volontariamente che soggetti alle più varie forme di coazione.

da “Gazzetta di Savona”, 30 maggio 1944, anno XXII.

Quando, esattamente,  il reclutamento dei lavoratori italiani divenne coatto?

Se parliamo del periodo della RSI, da subito (nel Sud, in particolare in Campania, nelle poche settimane intercorse tra l’8 settembre e l’arrivo degli Alleati, le razzie di uomini per il lavoro ebbero dimensioni impressionanti). Certo, a partire dal marzo-aprile 1944 la coazione ebbe sempre maggior peso, sia per il sostanziale fallimento delle campagne per l’arruolamento volontario, sia per l’uso che si fece della coazione per reprimere le diverse forme di resistenza. Ad esempio, gli scioperi del 1° marzo 1944, anche a Savona e nella sua provincia.

Chi effettuava materialmente il prelievo di forza lavoro?

Maggiormente gli italiani, ma anche i tedeschi. Da parte italiana, tutte le formazioni armate della RSI: esercito, bande armate quali la X MAS e i vari “battaglioni autonomi”, la Polizia e le polizie parallele (Banda Koch, banda Carità, ecc.), la GNR, le formazioni armate del PFR che poi divennero le Brigate Nere. Ma fu tutta l’organizzazione statale della RSI ad essere impegnata, quindi anche le Prefetture, gli Uffici provinciali del lavoro, ecc.

da “Gazzetta di Savona”, 25 dicembre  1943, anno XXII

Una volta giunti nella Germania del Terzo Reich, che tipo di mansioni svolgevano i lavoratori? In quali settori venivano impegnati?

In effetti, furono inviati non solo in tutto il territorio del Terzo Reich (Germania, Austria e altri territori occupati annessi ufficialmente al Reich) ma anche nel complesso dei territori occupati dai nazisti (Polonia, Moravia e Boemia, ecc.). Furono impegnati dove servivano ai tedeschi: fabbriche; servizi pubblici; commercio, miniere, agricoltura; piccole officine, lavori edilizi sia per porre rimedio alle incursioni aeree (nelle città e nelle fabbriche, particolarmente quelle chimiche legate alla produzione di benzina sintetica), sia per mettere in sicurezza l’industria bellica (interramento in caverne e vecchie miniere delle industrie, soprattutto  quelle aeronautiche e per la produzione dei carri armati). Le mansioni svolte non erano obbligatoriamente legate né alla specializzazione dichiarata dal lavoratore, né alla qualifica indicata nel contratto: se ai tedeschi servivano dei manovali che spalassero macerie, venivano impegnati anche i tecnici e i migliori tornitori.

I lavoratori godevano di diritti minimi? Percepivano una retribuzione?

I lavoratori, anche quando venivano razziati nelle fabbriche (ad esempio, a Genova il 16 giugno e a Savona il 1° marzo 1944), firmavano un contratto, ovviamente salvo eccezioni. Il contratto comportava una serie di diritti: retribuzione, ferie, riposi, ecc. La retribuzione fu pagata quasi sempre e, anche se con eccezioni non indifferenti, i lavoratori avevano la domenica libera, mentre gli altri diritti restarono in linea di massima sulla carta: niente ferie, difficilissimo ottenere i permessi per brevi rientri in famiglia a fronte di gravi motivi, nessuna garanzia di applicazione nella qualifica. Ma soprattutto, nessun rispetto della loro dignità di uomini e di lavoratori: botte, insulti, poco cibo, turni lunghissimi, vestiario scadente, condizioni igienico-sanitarie pessime sia in fabbrica che nei luoghi di residenza.

da “Gazzetta di Savona”, 30 maggio 1944, anno XXII

– La presenza di donne era rilevante?

A livello nazionale oscilla tra il 15 e il 20%, mentre per la Liguria il dato fu un po’ più basso poiché la forza lavoro trasferita fu principalmente operaia. Per la provincia di Genova, che ad oggi è quella più studiata, la percentuale è di poco inferiore al 15%.

– A quanto ammonta il numero dei lavoratori liguri e, nello specifico, savonesi, genovesi, dell’imperiese e dello spezzino prelevati per essere deportati in Germania?

Come ben sai, nessuna ricerca può mai considerarsi definitiva sul piano quantitativo. Ciò vale anche per questa, anche se, dal punto di vista dell’articolazione delle modalità di prelievo/reclutamento e di impiego nel Reich dalle province liguri, i risultati sono pressoché definitivi.

Come detto, Genova è stata studiata in modo sostanzialmente completo, mentre abbiamo iniziato l’esame delle altre tre province a primavera 2019, nell’ambito di un progetto che si propone di esaminare le realtà territoriali non comprese nella prima ricerca, finanziato dal Ministero degli esteri tedesco e dalla Fondazione Memoria per il Futuro. I dati relativi a Genova sono di almeno 6.000 persone, mentre per Savona stimiamo non meno di 900, per La Spezia non meno di 1.000 e per Imperia non meno di 550-600. In totale, per la Liguria possiamo parlare di non meno 8.400 persone, in grande maggioranza soggette a una qualche forma di coazione. Ma siamo abbastanza sicuri che, al termine di questa ulteriore ricerca, il totale sarà più alto.

da “Gazzetta di Savona”, 2 maggio 1944, anno XXII

Rispetto al dato nazionale, qual è la percentuale della componente ligure?

In base ai dati di cui abbiamo appena parlato, ad oggi siamo all’8-8,5%. Si tratta di una stima non particolarmente alta, anche tenendo conto dell’incidenza della popolazione ligure su quella totale della RSI, perché in altre regioni (Friuli, Lombardia, Emilia-Romagna) il prelievo fu più pesante e generalizzato (contadini, civili, ecc.), anche in termini percentuali, sulla popolazione.

E’ possibile stimare quantitativamente il rapporto tra il numero dei lavoratori savonesi impiegati nel lavoro forzato rispetto a quello delle altre provincie liguri? Si trattò di cifre considerevoli?

I savonesi furono almeno 900 su una popolazione di 64.000 abitanti in città e 219.000 nel complesso della provincia. Furono quindi avviate nel Reich più persone rispetto a Imperia poiché la forza lavoro savonese era di tipo industriale e quindi più congeniale alle esigenze naziste. Furono però in percentuale minore rispetto a La Spezia, poiché quest’ultima subì, per i bombardamenti e ancor più per l’azione dei tedeschi, distruzioni urbane e danni alle industrie tali da rendere il prelievo di forza lavoro molto più facile stante l’altissimo tasso di disoccupazione e le enormi difficoltà conosciute dall’approvvigionamento alimentare (a Spezia le stesse fonti fasciste riferiscono di cittadini morti per fame).

da “Gazzetta di Savona”, 27 maggio 1944, anno XXII

In che modo solitamente avveniva il reclutamento di forza lavoro locale?

Il reclutamento volontario, quello delle classi di leva (1914, 1920, 1921 e il primo semestre del 1926) e quello tramite l’Ufficio di collocamento, furono tutti sostenuti da una forte azione propagandistica. Manifesti, volantini, fotografie, proclami, inserzioni e articoli sui giornali, filmati, conferenze, feste organizzate dal Dopolavoro. Tra l’altro, questo complesso di iniziative fu anche assai costoso, soprattutto tenendo conto delle difficoltà finanziarie che attanagliarono il bilancio della RSI.

Avete rilevato aspetti peculiari nel reclutamento per il lavoro coatto a Savona e provincia?

Si. Vi fu un’incidenza ancor più elevata della media, già assai rilevante di suo, delle azioni coattive estreme: rastrellamenti; razzie nei luoghi di ritrovo (fu arrestato persino un gruppo di operai che giocava a bocce in un Dopolavoro) e per strada (nel processo al vice comandante della GNR del lavoro si parla di almeno due rastrellamenti in rifugi anti aerei); rastrellamenti e arresti di antifascisti e sostenitori di partigiani, o presunti tali; arresti di scioperanti in occasione del grande sciopero del 1° marzo.

Il livello di politicizzazione dei lavoratori savonesi era rilevante rispetto alla media nazionale e regionale? Se sì, qual era l’orientamento politico prevalente tra la forza lavoro proveniente da Savona?

Il livello di politicizzazione dei lavoratori savonesi parrebbe essere stato elevato, anche se al momento non siamo in grado di fare una comparazione con le altre province. Bisogna però tenere presente che i livelli di radicalizzazione seguivano l’andamento del conflitto sociale e di quello militare, sia generale che locale.

Come per tutta la forza lavoro, l’orientamento prevalente parrebbe essere quello legato al Partito Comunista, e in misura minore a quello Socialista.

da “Gazzetta di Savona”, 2 maggio 1944, anno XXII

Avete potuto ricostruire la vicenda cruciale dello sciopero del Primo marzo 1944 a Savona?

Abbiamo letto quanto pubblicato sull’argomento e approfondito, grazie a documenti di archivio, la razzia di lavoratori conseguente allo sciopero. Possiamo dire che essa colpì non meno di 160 persone in tutta la provincia (oltre al capoluogo, Vado, Finale, la Val Bormida) e che almeno 67 tra essi (noi abbiamo individuato il nome di 50 persone) finirono nei campi di concentramento, con un tasso di mortalità elevatissimo, ben superiore a quello nazionale.

Gli altri, quasi un centinaio, furono avviati al lavoro coatto.

La dimensione della repressione, e le modalità scelte, sono seconde, a livello ligure, solo alla razzia del 16 giugno a Genova, anch’essa conseguenza di un grande sciopero. Come per la razzia genovese, fu un’azione decisa per colpire gli scioperanti, terrorizzare la città e spezzare la volontà di resistenza della classe operaia.

Quanti lavoratori liguri non fecero ritorno a fine guerra? E nel caso savonese?

Questo è l’aspetto più difficile da approfondire. Noi abbiamo indicato una cifra di 100-150 persone per il complesso dei liguri. E’ una stima basata su dati ancora da verificare completamente. Però per avere una cifra precisa ci servono molte, ulteriori, difficili indagini. Certo, su oltre 8.400 persone avviate al lavoro nel Reich una percentuale di poco inferiore al 2%, riferita ad un numero crescente di soggetti nell’arco di 20 mesi, potrebbe apparire bassa.  E questo sia rispetto alle percentuali mostruose di mortalità della deportazione razziale (oltre il 90%), e di quella politica, sia soprattutto agli IMI, per i quali si parla di una percentuale tra l’8 ed il 10%. Vorremmo però farti presente che lo studio di Cesare Bermani riferisce per la fase finale dell’emigrazione “libera” nel Reich, i 16 mesi dal 1° gennaio 1942 al 30 aprile 1943, di un tasso di mortalità relativo alla totalità dei 170.000 lavoratori leggermente inferiore allo 0,5%. Questo era il tasso di mortalità “regolare” di una popolazione giovane, abbastanza ben alimentata, vestita e alloggiata, pur in presenza di bombardamenti e condizioni di lavoro non certo rispettose delle odierne misure di sicurezza sul lavoro.

E’ accertato che moltissimi lavoratori e lavoratrici rientrarono in condizioni fisiche e psicologiche disastrose per le condizioni materiali di vita e di lavoro e per le umiliazioni subite, riportando danni alla salute che segnarono tutta la loro vita. E, fatto ancor più tragico, vi furono anche dei lavoratori che morirono nei mesi seguenti al rientro, proprio per le privazioni e per gli infortuni sofferti nel Reich.

Che tipo di memoria è stata tramandata di questo periodo? In termini generali, chi subì il lavoro coatto “ricordò” poi pubblicamente l’esperienza vissuta o prevalsero i silenzi?

Prevalsero i silenzi. Il ricordo delle umiliazioni, delle privazioni e delle violenze subite non era facile da elaborare. E poi, chi era rimasto a casa non amava particolarmente sentire questi racconti, come testimoniano anche i reduci dalla deportazione razziale e politica

Inoltre, si trattava di un’esperienza non facile da inserire nei quadri di riferimento postbellici, anche all’interno della classe operaia. Non erano stati deportati politici, e ancor meno razziali, e nella maggior parte nemmeno quadri antifascisti militanti. Non è un caso che la memoria più forte sia stata quella di chi fu prelevato manu militari, ancor meglio se in conseguenza della partecipazione ad uno sciopero, come avvenne a Genova per le vittime della razzia del 16 giugno, e a Savona per lo sciopero del 1° marzo.

da “Gazzetta di Savona”, 2 maggio 1944, anno XXII

E sul piano della ricostruzione storica come si caratterizza lo stato della ricerca su questo tema in Italia?

In Italia siamo partiti tardi, a parte alcuni studi pionieristici di Brunello Mantelli e di Cesare Bermani. Però, da una dozzina d’anni a questa parte abbiamo lavorato molto e, ci permettiamo di dire, bene. Come ti abbiamo detto, dopo il lavoro che ha portato alla pubblicazione di Tante braccia per il Reich è partita una nuova ricerca, promossa dalla Fondazione Memoria per il Futuro, che: esaminerà territori non ancora studiati (per la Liguria, le province); creerà un data base con quanti più nomi e percorsi individuali possibili di lavoratori coatti; tenterà di far interagire le diverse tipologie di lavoro coatto (IMI, lavoratori a cui fu impedito il rientro dopo il 25 luglio, italiani prelevati in altri Paesi europei).

Per finire, vorremmo dire che c’è una cosa che ci dispiace: l’assenza di qualsiasi finanziamento pubblico per queste ricerche. Nessuno pensa di guadagnarci, però deve essere chiaro a tutti che senza soldi non si fa la ricerca: le trasferte, l’acquisto dei libri, l’acquisto degli strumenti tecnologici costano, e non possono essere sostenuti solo dai ricercatori, che già impegnano il loro tempo.

(Aprile 2020)

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