Con l’emanazione di un sistematico apparato di norme legislative (Regio Decreto Legge 17 novembre, n.1728), la politica del governo fascista assunse i caratteri di un organico e pervasivo antisemitismo di Stato.
In base agli artt. 9 e 10 del R.D.L., infatti, anche Savona – come nel resto di Italia- i cittadini di discendenza ebraica furono obbligati a denunciare all’Ufficio di stato civile del Comune la propria “appartenenza alla razza ebraica” (doc.1). Il termine di scadenza per l’autodenuncia era di 90 giorni dall’entrata in vigore del decreto; la sanzione prevista per gli inadempienti – o per coloro che avessero comunicato dati falsi o incompleti- poteva ammontare fino a tre mila lire di multa e ad un mese di reclusione.
La comunicazione del Municipio (pubblicata sui quotidiani locali, doc.2) appare molto precisa: “gli interessati si presenteranno personalmente al Capo Sezione Stato Civile e Anagrafe- via Manzoni 10- per compilare la denuncia sugli appositi moduli e secondo le indicazioni che verranno fornite. Per i minori e gli invalidi la denuncia sarà compilata dal Capo famiglia e convivenza”. L’archivio del Comune di Savona conserva alcune copie del modulo che venne in quella circostanza approntato dagli uffici municipali (doc. 3)- anche attraverso un rapporto di consultazione con gli uffici di altri comuni( doc.4).
Il documento n.1 riporta, nella seconda parte, anche l’art. 8 del Regio Decreto Legge 1728, dove vengono elencati i criteri di definizione della “razza ebraica. Rispetto alla comunicazione prefettizia del 20 agosto (cfr. scheda 1, doc. 3), il successivo decreto di novembre precisa e articola casistica e norme di classificazione: un segno che, nel volgere di pochi mesi, il regime ha progressivamente affinato e perfezionato il suo progetto persecutorio. Bisogna tuttavia aggiungere che l’ultima disposizione (“non è considerato di razza ebraica colui che è nato da genitori di nazionalità italiana, di cui uno solo di razza ebraica, che, alla data del 1 ottobre 1938, apparteneva a religione diversa da quella ebraica”), appare in contraddizione rispetto all’impianto biologico che sottende l’intero decreto. Lo stesso testo legislativo, con qualche imbarazzo, sfuma lessicalmente, ma non elimina l’incongruenza, ricorrendo a un’ ambigua e bizzarra formulazione (“non è considerato di razza ebraica ecc.”).
Il 2 maggio 1939 il Municipio di Savona trasmette alla locale Regia Prefettura l’elenco nominativo, corredato di indirizzi e indicazione di nazionalità, delle persone che hanno presentato denuncia di appartenenza alla “razza ebraica” a tutto il precedente 20 aprile (docc.5 e 6). Sulla base di questa comunicazione, gli ebrei residenti a Savona nella primavera 1939 risultano 24 (compreso un cittadino straniero)- 25 se si aggiunge la denuncia, presentata in data successiva al 20 aprile, di un funzionario comunale.
Negli anni successivi, “ai fini dell’aggiornamento dello schedario degli ebrei residenti in Italia”, il Ministero dell’ Interno continuerà a richiedere regolari aggiornamenti degli elenchi nominativi compilati, tenendo conto di “nascite, decessi, matrimoni, trasferimenti in altre province, trasferimenti all’ Estero e ad qualsiasi movimento o fenomeno demografico che possa essere di interesse… per l’ulteriore sistemazione dei dati del censimento effettuato nell’agosto del 1938” (doc. 7).
Segno che, anche dopo l’emanazione delle leggi razziali e lo scoppio della guerra, il regime non cessò di seguire, controllare e, per così dire, “monitorare”, caratteri, dati e consistenza della presenza ebraica in Italia.